Solo nel Salento si possono fare conoscenze speciali, come ad esempio stringere le mani incantate degli artigiani che, come per magia, forgiano capolavori in pietra leccese, in cartapesta, terracotta, ferro battuto, ceramica, giunco ed altri materiali “obbedienti” alla loro maestria.
Incontri che possono essere fatti per le antiche stradine di Lecce e di altri paesi (San Pietro in Lama, Cutrofiano, Lucugnano), su cui si affacciano caratteristiche botteghe d’arte, oppure in occasione di fiere, mercati, mostre, presepi viventi e artistici.
La Cartapesta
A meritare un posto sul podio, fin dal XVIII secolo, è la cartapesta, una tecnica povera di lavorazione (con ingredienti elementari come carta straccia, colla d’amido, paglia e filo di ferro, terracotta), eppure le è stato intitolato addirittura un museo nel capoluogo barocco, allestito nelle sale del castello di Carlo V. Lo popolano quasi 100 opere di artisti locali e non: Pantaleo, Indino Malecore, Gallucci, Guacci, Caretta, Mazzeo, Errico, Capoccia, fino agli internazionali Emilio Farina e Lucia Barata. Ad essere plasmati con la cartapesta sono soprattutto statue che ritraggono santi, madonne, pescatori e contadini, ma ancor più frequente è la rappresentazione di figure presepiali di varia dimensione: più alte quelle ammirabili nella cavea dell’anfiteatro romano in piazza Sant’Oronzo a Lecce (dove, nel periodo natalizio, viene allestito un suggestivo presepe artistico), in miniatura quelle esposte in occasione della famosa fiera di Santa Lucia (sempre nella città barocca, a partire dall’8 dicembre).
La Pietra Leccese
La pietra leccese (vero nome: “leccisu”) è l’altro vanto dell’artigianato leccese che incontra l’architettura: come una polvere magica, infatti, cosparge le facciate dei principali monumenti del capoluogo (dalla basilica di Santa Croce al Duomo nella piazza omonima) e le illumina. Risplende quella pietra preziosa, di origine calcarea, che si estrae dalle numerose cave presenti sul territorio.
Pregiate le sue caratteristiche: facilmente plasmabile, color miele e dalla grana compatta e fine.
Tracce del suo utilizzo fin dall’antichità, quando acqua e materie prime scarseggiavano, sono rappresentate da quei monumenti megalitici sparsi per il Salento: dolmen, menhir, specchie.
Non solo: le è stato addirittura intitolato un museo, o meglio un ecomuseo a Cursi, inaugurato nel 2000 e visitabile grazie all’esistenza di una pista ciclopedonale. Si tratta di una mostra all’aperto, infatti, allestita nell’area delle cave di tufo, con alle spalle la campagna abitata dalle piante tipiche della macchia mediterranea.
La Terracotta
Risale alla preistoria anche la terracotta, portata in Salento da Dauni e Messapi.
La lavorazione di questo materiale era diffusa, fin dal passato, in quelle zone dove si poteva estrarre l’argilla: Nardò, San Pietro in Lama, Gallipoli, Ruffano, Cutrofiano.
Proprio a Cutrofiano, nel 1985, è stato inaugurato il “Museo comunale della Ceramica”, popolato da piatti, anfore, maioliche, zuppiere, ciotole, ma anche dagli attrezzi usati dagli artigiani per “trasformare” l’argilla in terracotta. Qual è il processo? Un impasto di acqua e creta viene lavorato al tornio, poi esposto al sole ed infine infornato a circa 900° C: ne vengon fuori manufatti giallognoli o rosso mattone, a causa della presenza dell’ossido di ferro.
Una volta “sfornati”, i capolavori dei “cutimari” (sono detti così gli artisti della terracotta) prendono varie forme: se ne ricavano originali fischietti esposti sulle bancarelle delle feste patronali e tra i souvenir; si forgiano i famosi “pupi” dei presepi; si siedono anche a tavola ed accolgono, al loro interno, la tipica pietanza del “purpu alla pignata” (polpo cucinato in umido in un recipiente di terracotta); come tegole (i famosi “imbreci”), ricoprono i tetti delle case.
Ma gli artigiani salentini sanno anche intrecciare giunchi, lavorare il rame, tessere e ricamare proprio come una volta. Gli “mpagghiasegge”, ad esempio, giravano per il paese con una bisaccia contenente giunchi di paglia, pronti a riparare, su richiesta, le sedute intrecciate di paglia delle sedie di legno. Poi c’era “lu stagninu” che, a partire da fogli di lamiera, dava vita a oggetti di rame zincata o rossa: tegami, secchi, pompe di irrorazione, i “quatarotti” per bollire il bucato. Non mancavano le donne artigiane: la tessitrice, la filatrice, la ricamatrice.
Se v’interessa saperlo, questi personaggi non vivono solo nel passato: non è infrequente, infatti, incontrarli nelle loro botteghe sparse per alcuni centri storici, o nei presepi viventi allestiti nel periodo natalizio.
Volete abbracciare con un solo sguardo le varie facce dell’artigianato salentino? In via Rubichi, a Lecce, vi aspetta la “Mostra permanente dell’artigianato salentino”, dove sono esposte circa cento botteghe artigiane.