Guida alle vacanze a Gallipoli, consigli sul mare, sulle spiagge, su dove andare, cosa vedere e dove dormire.
Un pò di Storia – Il Porto – Il Carnevale – La Cucina Tipica – Mappa
Foto di Franco Mantegani
Il famoso appellativo di “Città Bella” (è il significato del toponimo che deriva dalla lingua greca) le calza a pennello. Attraente, infatti, Gallipoli lo è stata sempre, fin dalle sue antichissime origini. Altrimenti non si spiegherebbe come mai sia stata continuamente, nel corso dei secoli, al centro delle mire dei vari popoli conquistatori: sul suo territorio si sono succedete dominazioni e invasioni da parte dei Romani, Barbari, Bizantini, Greci, Normanni, Angioini, Aragonesi, Veneziani, Spagnoli, Francesi ed altri ancora.
Il “miele” della città ionica, non c’è dubbio, era ed è stato a lungo il suo porto e le attività commerciali ad esso legate. Anzi, i suoi porti. Sono due, infatti, i luoghi d’approdo e ormeggio delle imbarcazioni, di cui il più antico (il porto peschereccio) sorge nei pressi della Fontana Greca e a ridosso del Rivellino, quasi al confine (segnato da un ponte in muratura del ‘600) tra il borgo moderno (il rinomato corso Roma n’è il simbolo) e la città vecchia.
Proprio così, la “Città Bella” ha due anime, e l’altro porto, quello mercantile, fiancheggia una parete di quel centro storico che sorge, anzi galleggia, su un’antica isola calcarea.
A darvi il benvenuto, nella Gallipoli di una volta, sarà il Castello Angioino, struttura difensiva ulteriormente potenziata, in epoca più tarda, dal Rivellino: li osserverete in carne ed ossa (ma anche riflessi nello specchio d’acqua su cui si adagiano) alla vostra sinistra, mentre sarete intenti a varcare la soglia (il famoso ponte) tra il presente, ricco di fascino, e l’altrettanto attraente passato. Una volta scesi dalla macchina del tempo, poi, vi ritroverete di fronte un intrico di stradine suggestive, dove la storia fiorisce ad ogni angolo: preparatevi ad una carrellata di Chiese (tra cui la maestosa Cattedrale di Sant’Agata, esemplare barocco), palazzi nobiliari ed il frantoio ipogeo di Palazzo Granafei (dove, un tempo, si produceva il fiore all’occhiello del commercio locale, l’olio lampante).
Ma Gallipoli non è solo storia, cultura ed arte. C’è il mare (e non a caso l’altro appellativo della città è quello di “Perla dello Ionio”): un manto azzurro e vellutato che ricopre il litorale sud, in prevalenza sabbioso, per una ventina di chilometri e si estende anche a nord, in località Rivabella. C’è la natura: pinete e piante tipiche della macchia mediterranea incorniciano i lidi, ma il vero capolavoro è il “Parco naturale regionale Isola di Sant’Andrea e litorale di Punta Pizzo”, un’oasi protetta di ben 700 ettari.
Foto di Carmelo Raineri.
LA STORIA DI GALLIPOLI
Sulle origini della città di Gallipoli le opinioni sono controverse. Secondo una leggenda è stata fondata dall’eroe cretese Idomeneo (che avrebbe portato in città l’immagine del gallo impressa sul suo scudo, poi scelta per lo stemma cittadino), mentre un’altra leggenda dice che sia stata creata dallo spartano Leucippo. In realtà, la presenza umana sembra essere di origine preistorica e probabilmente Gallipoli fu l‘approdo portuale della città messapica di Alezio, poi andata distrutta.
Il nome è però di derivazione greca, Gallipoli infatti deriva da “Kale Polis” (“Bella Città”) e risale a quando il centro era una colonia della Magna Grecia. Poi, nel 265 a.C., ad occupare il suo suolo dopo la vittoria nella prima guerra punica giunse Roma, dal momento che Gallipoli aveva scelto di affiancarsi a Taranto e Pirro.
Non si può dire che la dominazione romana non abbia però giovato al suo sviluppo: vennero potenziate le vie di comunicazione ed incrementate le attività portuali, finché Gallipoli non divenne un vero e proprio municipio. Purtroppo le opere realizzate dai Romani andarono completamente distrutte nel Medioevo (durante il 450 circa), con le invasioni dei Barbari (Vandali e Goti). Poi fu il turno dei Bizantini che dominarono a Gallipoli per 42 anni a partire dal 500. Sotto l’impero romano di Onesti, dal 542, la città conobbe un nuovo periodo di fioritura, di cui è simbolo la costruzione del famoso Castello, nato per scopi difensivi e che più tardi sarà potenziato da un’altra struttura fortificata, la nota Torre del Rivellino, collegata da un ponte levatoio all’edificio principale. Tuttavia il centro restò a lungo ai Bizantini, tanto che l’osservazione del rito greco si mantenne fino al XVI secolo, per passare solo nel 1071 nelle mani dei Normanni, cui seguirono dominazioni contese tra svevi, angioini e aragonesi che ricordiamo soprattutto per lo spietato assedio angioino del 1268, per tracce architettoniche giunte fino ai giorni nostri e per aver incrementato i traffici commerciali.
Ma fu sotto gli Spagnoli che, nel XVI secolo, la città tornò a risplendere, soprattutto nel settore dell’artigianato e dei traffici mercantili, tra cui il fiorente commercio dell’olio lampante. Proprio per sostenere i volumi di traffico maggiori, nel 1773 cominciò la costruzione di un nuovo Porto che venne ultimato, però, solo nel 1830 sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, con cui Gallipoli entra a far parte del Regno di Napoli.
L’espansione della città dal Centro Storico realizzato su una piccola penisola fu pianificato nel 1785 con numerose vie ortogonali che hanno notevolmente contribuito alla conformazione odierna. Con l’avvicinarsi dell’Unità d’Italia la città diventa prima capoluogo di distretto, poi, subito dopo il 1861, capoluogo di circondario con Lecce e Taranto. Fu raggiunta dalla ferrovia nel 1880 e sottoposta a un “piano di risanamento” abitativo che fu un grave errore storico, dal momento che abbatté l’antica porta di accesso alla città e la cinta muraria per far posto a viali panoramici. Entrò infine nell’orbita della Provincia di Lecce restando un importante polo turistico.
Foto 1 e 2 di Carmelo Raineri.
IL PORTO
Non è preciso parlare del porto di Gallipoli, perché di strutture d’approdo e ormeggio la “Città Bella” ne ha ben due.
Proprio così: uno nelle vicinanze della Fontana Greca, destinato alle paranze; l’altro, quello mercantile, nella città vecchia. Quest’ultimo, più volte ristrutturato, oggi è esteso per 80mila metri quadrati, ma la sua storia comincia nel lontano XV secolo.
Furono i Veneziani, infatti, poi gli Aragonesi, a trasformare quello che era un piccolo riparo per barche in un porto degno di questo nome che, a partire dal 1500, divenne un fondamentale punto di riferimento per il commercio del vino, ma soprattutto dell’olio lampante.
Sì, perché Gallipoli, molto prima di essere la “Città Bella”, ed anche precedentemente all’edificazione del porto, era innanzitutto la città dell’olio. Da lì, l’“oro giallo” veniva esportato non solo a Napoli e Venezia, ma anche in Inghilterra (richiesto da lanifici e tintorie) e Russia (per uso votivo).
La fama del prodotto d’eccellenza gallipolino era tale e diffusa che, ogni anno, nei secoli XVIII e XVIX, si svolgeva la “Fiera del Canneto”, nella settimana fra il 2 e l’8 luglio.
In quel periodo, si producevano circa 85mila quintali annui di olio.
Ma chi “forgiava” l’oro giallo? Gli agricoltori gallipolini, all’interno dei famosi “trappeti”, ossia i frantoi ipogei, tra i quali è ancora visitabile quello ospitato da Palazzo Granafei nel borgo antico, in via Antonietta De Pace.
Oggi, il porto ha perso la sua centralità e la funzione commerciale di un tempo, ma è un importante scalo turistico che il Molo Tramontana e il Molo Foraneo difendono dalle mareggiate.
Non solo: nell’area portuale, date le grandi dimensioni, si svolgono importanti e celebri eventi, come concerti e soprattutto il Premio Barocco, la rinomata manifestazione culturale che, fino allo scorso anno, veniva trasmessa in diretta su Rai 1.
Una curiosità: il porto di Gallipoli è ritratto in illustri cartoline e due dipinti del pittore gallipolino Giulio Pagliano, conservati all’interno del Museo civico “Emanuele Barba”. Risalgono ai primi decenni del Novecento le tele “La casa di sanità e il porto di Gallipoli” e “Veduta del porto di Gallipoli (toeletta di guerra)”.
IL CARNEVALE
Il Carnevale di Gallipoli è uno dei più antichi d’Italia e tra i più noti della Regione assieme a quello di Putignano. Si è svolto ogni anno fin dal 1941, eccetto che nel 2011 e nel 2012. Il periodo del Carnevale lo si fa cominciare per tradizione il 17 gennaio con l’accensione della focara di Sant’Antonio Abate, ma le feste vere e proprie cominciano più tardi.
Il clou si raggiunge durante l’ultima domenica carnevalesca e il martedì grasso, giorni in cui per le vie della città e sul principale Corso Roma vengono fatti sfilare i grandi carri allegorici realizzati in cartapesta da abili artigiani, assieme a gruppi in maschera che inscenano spettacoli a tema o mettono “in funzione” il carro. L’evento attrae migliaia di persone da tutte le città pugliesi, che assistono allo spettacolo in abiti civili o anch’esse in maschera lungo le vie transennate.
La tradizione del carnevale è in ogni caso molto più antica della “festa ufficiale”, tanto che esistono documenti settecenteschi da cui risultano spettacoli folkloristici carnevaleschi e si pensa che le origini reali risalgano al periodo medievale da iniziativa di spirito popolare, così come si è conservato fino ad oggi.
È interessante notare come questa espressione popolare venga vissuta dagli abitanti del posto con una serie di scadenze temporali e rituali che risalgono a quei tempi, in una continua commistione tra simbologia pagana e cristiana, come la stessa scelta del giorno della Focara di Sant’Antonio per sancirne l’inizio: contemporaneamente al falò principale vengono accesi diversi altri fuochi più piccoli per le vie, che danno vita all’antica tradizione delle “focareddhre” di Sant’Antonio. Gli stessi falò sono accesi seguendo dei riti codificati lungo i secoli.
Dai documenti si evince che già all’epoca numerosi travestimenti dilagavano per le vie del centro storico, realizzati sia con i panni dei poveri che con le sete dei ricchi e coinvolgendo così tutte le fasce sociali, con l’obiettivo unico di far ridere e di propinare scherzi dimenticando per qualche tempo i problemi del quotidiano. Le maschere erano accolte tra applausi e coriandoli. I primi carri sarcastici comparvero all’inizio del Novecento, affiancandosi a quello originale de “Lu Titoru”.
Il rilancio definitivo del Carnevale a Gallipoli in pianta stabile e organizzata cominciò dopo la Seconda Guerra Mondiale, con successo sempre maggiore e arrivando ad accogliere anche più di centomila persone.
Il Carnevale di Gallipoli come poc’anzi anticipato ha anche una sua propria maschera, quella conosciuta come “Lu Titoru”, nome dialettale per Teodoro. La sua maschera nasce per ricordare appunto Teodoro, che secondo la tradizione dopo essere tornato dal servizio militare chiese alla madre di preparargli delle gustose polpette. Non avendole mangiate per molto tempo, però, le ingurgitò con foga e rimase soffocato. Un’altra versione dice che il giovane, finalmente abbandonatosi al divertimento e al cibarsi sfrenatamente, fu soffocato mentre mangiava salsicce e polpette di maiale una dopo l’altra. La madre del ragazzo viene chiamata Caremma, nome dialettale per Quaresima. La tradizione non ha riscontri verificabili, ma la maschera viene raffigurata in ogni carnevale, assieme alla Caremma e ad una serie di altre figure che lo piangono.
Nell’edizione 2014 è stato deciso che si terranno tre sfilate e che i carri saranno tutti incentrati sul tema di Walt Disney, e che si svolgeranno assieme a rappresentanze di altri carnevali gemellati: quelli delle città di Galatone, Melissano e Monfalcone.
immagine 1: flickr by fedewild licenza CC BY-SA
immagine 2: flickr by fedewild licenza CC BY-SA
LA CUCINA TIPICA
A Gallipoli, l’ora del pranzo e della cena è un momento magico: come per incantesimo, infatti, succede che gli abitanti del suo mare (pesci, crostacei e molluschi) si tuffino nelle succulente pietanze servite sulle ricche tavole imbandite.
Ma la magia continua all’interno dei piatti, dove il vellutato mare si amalgama alla rustica terra e ai suoi prodotti tipici (verdure, ortaggi, cereali, legumi).
Tra gli antipasti, potreste trovare la famosa e tradizionale “scapece”: oggi ospite d’onore delle bancarelle in occasione delle caratteristiche feste patronali, ieri fonte di nutrimento ideale (perché “a lunga conservazione”) nei periodi d’assedio nemico. Si tratta di piccoli pesci (generalmente “ope” e “cupiddhi”) fritti e marinati tra strati di mollica gialla, colorata dallo zafferano.
Un piatto povero, come anche le stuzzicanti “pittule” ripiene di baccalà, in cui le frittelle di pasta lievitata vengono insaporite dal famoso merluzzo bianco conservato sotto sale.
Ma il pesce che va immerso in acqua fredda, prima di essere consumato, è protagonista anche della portata (spesso piatto unico) del “baccalà con le patate”, cucinato in umido.
Il famoso tubero pugliese ritorna, poi, nell’altrettanto nota “taieddhra”, cotta al forno nell’omonima teglia in terracotta, in cui vengono riposti riso, patate e cozze.
Sono ancora le patate ad incontrarsi con il mare nel “purpu alla pignata”, a base di polpo cotto in umido col sugo, il tutto adagiato nell’antico recipiente di terracotta che dà il nome alla pietanza.
Il pesce rende più raffinati, insomma, i piatti della tradizione, come nel caso della minestra di farro con frutti di mare e scorfano, o della semola condita con cozze nere e noci, per non parlare delle tagliatelle con gamberi e crema di ceci.
Che dire, infine, della pasta artigianale (“fatta a casa”) condita con sughi a base di pesce e frutti di mare?
E tra un boccone di “minchiareddhi” e uno di “orecchiette”, non dimenticate di sorseggiare l’ottimo vino locale ( Malvasia, Lambrusco, Negroamaro e Primitivo tra i rossi, Chardonnay, Moscato e Verdeca fra i bianchi), un altro dei fiori all’occhiello dell’enogastronomia pugliese.
Vino e buon cibo sono protagonisti, inoltre, delle tradizionali sagre che deliziano i palati di turisti e locali in giro per il Salento, il tutto condito da musiche e danze popolari (la famosa “pizzica”). A Gallipoli, la più attesa è la “sagra de la frisa e te lu pesce frittu”, in programma per il 31 luglio.
Dove si trova Gallipoli