Immagine di copertina di Franco Mantegani
Porto Selvaggio fa parte del territorio di Nardò e si trova ben indicato lungo la litoranea Santa Caterina – Porto Cesareo.
Già con una legge del 1980 la Regione Puglia volle tutelare questa zona di particolare fascino paesaggistico, storico, ambientale, istituendo il Parco Naturale di Porto Selvaggio esteso per 432 ettari di costa di cui ben 268 di superficie boschiva che comprende alberi di pini d’aleppo, pini italici e pini marittimi. Questi pini sono frutto di un rimboschimento effettuato con fondi statali negli Anni Cinquanta e che hanno dato di fatto vita al Parco. Lungo i viali del Parco si trovano anche cipressi comuni e lungo la costa diverse acace proteggono il bosco dalla salsedine. Ben presto agli alberi si sono aggiunte numerose piante di sottobosco spontaneo come il mirto, il cisto marino e l’asparago selvatico e la menta. Non mancano fiori come l’iris, la ginestra e l’orchidea. Il confine meridionale di Porto Selvaggio coincide con l’abitato di Santa Caterina e col promontorio dell’Alto. La più importante insenatura di Porto Selvaggio è incuneata nel bosco in una piccola spiaggetta ciottolosa, senza vera e propria sabbia. A sinistra e a destra è delimitata da una bassa scogliera che diventa via via più alta e da cui i bagnanti non di rado usano tuffarsi. Qui il mare presenta una corrente particolarmente fredda di acqua dolce, essendo presente nei pressi un’antica sorgente che può essere raggiunta anche dai bagnanti, se non temete le temperature dell’acqua via via più fredde man mano che ci si avvicina alla sorgente. Le acque di Porto Selvaggio sono limpide e cristalline con fondali fatti di scogli e anfratti. Nei pressi dell’insenatura, lungo il fianco sinistro, si trova anche una piccola grotta nata da fenomeni carsici, raggiungibile a nuoto.
Foto di Franco Mantegani
Lungo una serie di sentieri che tagliano il bosco, costeggiato da una scogliera che si specchia in un mare cristallino, si può raggiungere poi la Baia di Uluzzo, un giacimento paleolitico con manufatti in pietra e resti di grandi mammiferi (rinoceronti, cervidi, bovidi, equidi) di così grande importanza da dare il nome all’importante complesso paleolitico dell’ “uluzziano”.
Subito dopo si incontra la prima delle numerose grotte di cui è ricco questo tratto di costa, la grotta di Capelvenere, che prende il nome da una pianta di felce capelvenere. In questa grotta sono stati ritrovati reperti che risalgono ai primi insediamenti messapici, romani e medioevali.
Salendo lungo un sentiero, per molti tratti gradinato, si giunge fino alla Torre dell’Alto, una delle più poderose fortificazioni aragonesi costruite a difesa della costa salentina, oggi sede del museo di biologia marina. Lo spuntone di roccia su cui sorge, che termina con uno strapiombo di 50 metri a picco nel mare, viene detto Dirupo della Dannata perché è un precipizio in cui, nel XIX secolo, cercò volontariamente la morte una ragazza che voleva sfuggire allo “jus primae noctis” (diritto della prima notte) imposto dal crudele GianGerolamo Acquaviva, conte di Conversano e duca di Nardò, il famigerato “Guercio di Puglia”.
Dalla Torre parte un sentiero che si affaccia sulla spiaggetta di Porto Selvaggio, dove l’acqua è di un turchese brillante, aiutata in questo anche dalle sorgenti di acqua dolce di cui abbiamo parlato, nate dallo sbocco dei torrenti sotterranei tipici di un territorio carsico come è questo tratto della costa pugliese.
Foto di Carmelo Raineri